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POLITICA CITTADINA
L'Ulivo a Monza c'è: che fare? 
di Giacomo Correale


gli oratori: Roberto Martinelli, Michele Faglia, Sergio Civati, Massimo Cacciari (fuori quadro Paolo Confalonieri)
gli oratori
il pubblico
il pubblico
Il grande successo dell'incontro del 4 dicembre con Martinelli e Cacciari alla Casa della Cultura, promosso dall'Associazione Monza per l'Ulivo, sul tema “Quale Ulivo per quale Italia”, al di là del merito dei promotori ha dimostrato una cosa certa: che l'Ulivo è vivo e vegeto, nonostante le gelate e i colpi di accetta che gli vengono inferti sia da chi vuole eliminarlo, sia da chi ritiene forse che la legna valga di più dell'albero. 
Dice Martinelli: l'Ulivo ha tre gambe, i rappresentanti eletti, i partiti, le associazioni. Le associazioni dell'Ulivo debbono dibattere, sollecitare le forze politiche, occuparsi e fare proposte sui problemi reali. Non contrapporsi ai partiti, ma “stimolarli a una convergenza”.  
Cacciari rinforza: “è ridicolo attendersi la lezione dai partiti”. “E' ridicolo che i partiti pensino di essere l'asse che non vacilla”. I partiti dell'Ulivo, dice ancora Cacciari, debbono ascoltare, federarsi, darsi un portavoce. 
Queste affermazioni mi hanno portato a chiedermi: ma se i circoli dell'Ulivo debbono svolgere una funzione di stimolo, di controllo, di proposta, dovrà pur esserci un percorso di ritorno, una risposta da parte di qualcuno. In sostanza, una leadership.  
A suo tempo Prodi aveva impersonato la leadership dell'Ulivo. Prodi non era un partito, ma esprimeva una leadership concreta, fatta di progetti eccellenti impastati con uomini eccellenti. Indicava cose da fare e sintesi credibili, come l'entrare in Europa. E milioni di italiani gli diedero un consenso vincente, dando scacco alla demagogia e ai panzer massmediatici. 
Siccome Prodi non era uomo di partito, ne verrebbe che ci si deve attendere la leadership dai rappresentanti eletti o comunque dagli “àristoi”, dai migliori. Per dirla in chiave monzese, dai Faglia e dalla sua squadra, non dai partiti, locali o superlocali. Ne verrebbe anche che più che di un leader c'è bisogno di una leadership diffusa, ovunque e ai diversi livelli. 
Certo, i Prodi, come i Faglia, non sono nati dal nulla. In particolare, a Monza non avremmo avuto Faglia senza una grande mobilitazione dal basso, portatrice di proposte concrete sulla realtà cittadina. Forse non avremmo avuto neanche la grande convergenza allargata al di là dei partiti dell'Ulivo, maturata faticosamente dopo lunghi contrasti e tiri alla fune. Questa vicenda confermerebbe la validità del messaggio di Martinelli e Cacciari: che se c'è una grande mobilitazione, un forte controllo e una spinta dal basso da parte delle associazioni dell'Ulivo e della rete di movimenti coinvolti nel dialogo (girotondi e dintorni), la leadership seguirà. 
Allora, compito delle associazioni come Monza per l'Ulivo dovrebbe soprattutto essere quello di dialogare sui problemi concreti, di Monza e dintorni: da una parte con i rappresentanti eletti, attendendo da essi le sintesi, le linee guida, le scelte, i programmi. Dall'altra con la cosiddetta società civile, della quale esse stesse sono parte impegnata. Pronte a mobilitarsi per la realizzazione dei progetti di governo che avranno contribuito a costruire.
Quanto ai partiti, non dovrebbero più avere il ruolo egemone dei vecchi partiti di massa, con i loro commissari politici incaricati di garantire l'ortodossia ideologica e di parte. Oggi dovrebbero diventare il collante tra la società civile e i rappresentanti eletti. Più in generale, dovrebbero fare i registi del gioco politico, un gioco, come è stato ben detto da una ragazza del pubblico, che non dovrebbe essere triste, noioso, scostante, come spesso avviene nel tradizionale ristretto gioco delle parti partitico, ma pieno di iniziative attraenti, vivaci, coinvolgenti, importanti, di cui tutti dovrebbero sentirsi protagonisti. 
Forse una analogia calzante potrebbe essere quella del ruolo apparentemente servile, ma in realtà molto creativo, di un cuoco capace di mescolare insieme diversi ingredienti: emozioni, idee e uomini, selezionando quelli di migliore qualità, dosando un misto di responsabilità e potere, servizio civile e interessi, e rivestendo il tutto con la comunicazione (ingrediente, è stato rilevato da molti intervenuti al convegno, sempre troppo carente e sottovalutato nella cucina dell'Ulivo). Riuscendo in tal modo a suscitare intorno a una bella tavola l'entusiasmo e il consenso dei commensali, cioè degli elettori. 
Occorre comunque tener presente che, anche se in una grande cucina si vedono stuoli di cuochi, è difficile che senza una Babette sia possibile servire un grande e armonico pranzo.

Giacomo Correale

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  8 dicembre 2002